Francesco SERAO, Vesuvius a vertice dissectus, in Istoria dell’Incendio del Vesuvio Accaduto nel mese di Maggio dell’Anno MDCCXXXVII, Napoli, Novello DE BONIS, 1738. Una delle due tavole non numerate. Incisione su rame. Disegnatore e incisore anonimi.
Il testo, anonimo, è riconosciuto come di Serao già in epoca antica. La tavola è qui riprodotta dalla edizione del 1740, una delle numerose riedizioni dell’opera. Scritta, anche in latino (Neapolitanae Scientiarum Academiae De Vesuvii Confragratione quae mense Majo anno MDCCXXXVII accidit Commentarius, Napoli, Novello de Bonis, 1738), da un medico e scienziato per conto della Accademia delle Scienze Napolatena e su commissione del re Carlo III, è opera di notevole valore. Contiene due tavole, con didascalie in latino. Una delle due tavole è una veduta da lontano del Vesuvio con la colata riversata da una bocca eccentrica; l’altra è frutto di una visione ravvicinata e focalizzata sull’interno del cratere. Quest’ultima tavola appartiene quindi, almeno in parte, al filone iconografico riguardante l’interno del cratere, di cui Kircher 1664-5 è un esempio. Tuttavia l’immagine solo in minima parte riesce a rendere le componenti descritte nel Capitolo 6 del testo e nella didascalia. Occorrerà attendere Pigonati 1767 per una rappresentazione efficace dell’interno del cratere.
Bibliografia. Furcheim 1897, pp. 180-2; Nazzaro 2001, pp. 76, 79, 85-86, 146-8; Toscano 2009, p. 102; De Sanctis 1986, p. 12.
TEORIE
Modello anatomico
Serao, che era un medico, rappresenta, a sinistra nella tavola, l’interno del cratere del Vesuvio come in una dissezione anatomica (Vesuvius a Vertice Dissectus), avendone eliminato un lato per mostrare il suo interno. Il taglio, diversamente dalla dissezione anatomica, è ovviamente virtuale e infatti scrive: Veggasi qui appresso il disegno del Vesuvio tagliato verticalmente in cui sono queste cose espresse in qualche modo per ajuto della fantasia (p. 117, nota 1). Cf. anche Kircher 1664-1665 e Pigonati 1768. Molta attenzione è anche riservata al battito del polso usato come unita di misura temporale per la misurazione della profondità del cratere attraverso il lancio di pietre.
[Osservazioni fatte nel settembre 1737, dopo che l’eruzione termina a giugno: cf. p. 117] [p. 114] […] Quest’orlo medesimo [del cratere] è quasi allo stesso livello […] Tutta questa apertura è la bocca di una voragine, che si profonda [p. 115] nelle viscere di quel vertice in forma di un cono troncato, di cui la maggior base sarebbe l’apertura istessa […] Il fondo poi di questa voragine si slunga un poco […]. Nel tempo che si osservò, vi era l’acqua piovana raccolta come in un laghetto inverso la parte meridionale, che occupava poco men che la metà […]. Era questo laghetto chiuso da una porzione di cenere rilevata a modo di argine […] Questo fondo asciutto […] andava a terminare in una conca…donde a volta a volta uscivano globi di fumo densissimo. [p. 116. Per misurarre la profondità del cratere:] si fecero buttare [dall’orlo] pietre grossissime cinque volte, ed intanto dalla ripa opposta si misurava il tempo che correva dall’esser la pietra gettata dalla mano, fino che giungesse a toccare il fondo: ed in tutte le cinque volte si contarono 40 battute di polso, collo svario solo di due o tre battute. Or passando ciascuna battuta di polso per un minuto secondo, e supponendo che il moto della pietra fosse quasi equabile ed uniforme…sarebbe l’altezza della voragineda cima in fondo canne 84. [nota 1: Avendo osservato i Signori Mariotte e de la Hire che un grave trapassi in cadendo nel primo minuto secondo 14 piedi di Parigi]. Egli è vero che colui, nel cui polso si contarono le battute avea durato moltissima fatica a montar sull’ultima punta del Vesuvio: era di state e i molti vapori sulfurei…riscaldavano notabilmente l’aria ambiente; circostanze tutte da far concepire che doveano le battute dell’arterie in costui esser molto più celeri dell’ordinario […].
Domenico Laurenza