Etna 1755 RECUPERO 1755

Giuseppe RECUPERO, Discorso storico sopra l’acque vomitate da Mongibello, e suoi ultimi fuochi avvenuti nel mese di marzo del corrente anno MDCCLV, Catania, Stamperia Gioachimo PULEJO, 1755. Acquaforte. Disegnatore: Giuseppe RECUPERO? Incisore: Francesco GRAMIGNANI.

L’opera è dedicata all’eruzione dell’Etna del marzo 1755 e, in particolare, alle colate d’acqua o lahar che precedettero l’emissione di lave e furono osservati dagli abitanti del posto. Su spinta dell’abate e letterato Vito Maria Amico, incaricato dal governo di descrivere quell’avvenimento, Recupero si recò più volte sul vulcano nel corso della primavera, per verificare di persona le tracce lasciate da un fenomeno che – benché già noto per il Vesuvio – appariva del tutto nuovo per l’Etna.

La memoria fu letta all’Accademia degli Etnei di Catania, della quale Recupero era membro e segretario con il nome di Crotalo Mirtenio.

Il testo è accompagnato da una tavola del pittore e incisore palermitano Francesco Gramignani Arezzi (1705-1779 ca.), allievo di Sebastiano Conca e Olivio Sozzi, trasferitosi a Catania nel 1745 (“Catane Gramignani Scul.”). Recupero afferma di aver seguito personalmente la realizzazione della tavola per garantirne la fedeltà al vero, sulla base dei disegni da lui stesso realizzati sul posto:

[p. 41] “Ho fatto incidere tutta la Plaga orientale dell’Etna, ove si vedono distintamente non solo i terreni inondati, ma pure il corso del nuovo fuoco, che feci delineare colla mia assistenza, e secondo le piante da me fatte sopra luogo; potendo assicurarvi francamente, che non adeo ovum est ovo simile, per come sono tutte le cose sudette in questa Piangia fedelmente espressate”.

Bibliografia. Candela 2016; Abate e Branca 2015. Su Gramignani: Gallo 2000, p. 58; Policastro 1950, pp. 327 ss. Sull’eruzione del 1755: Alessi 1829-1835; Tanguy 1981; Branca, Del Carlo, Behncke, Bonfanti 2025.

MAPPE

La tavola raffigura le falde orientali dell’Etna, vale a dire l’area della Valle del Bove dominata dal cono del vulcano, e si presenta come una sintesi tra una carta topografica corredata di toponimi e una veduta prospettica. L’incisione rappresenta sincronicamente il corso della lava e quello dei torrenti d’acqua, ma non trascura la vegetazione delle diverse regioni etnee. Conciliando valore didattico e resa estetica, offre così uno scenografico colpo d’occhio sul “maestoso teatro” della Valle del Bove, cinto “di una ben lunga serie di straripevoli erte Montagne” (p. 6).

 

ATTIVITÀ PIROCLASTICA

Colate di fango (Lahar)

Recupero, nel corso delle sue escursioni all’inizio di aprile, identificò diverse tracce di torrenti d’acqua caldissima e, dopo alcune esitazioni causate anche dalla presenza della neve, stabilì che dovevano essere fuoriusciti dal cratere principale del vulcano.

La tavola riproduce fedelmente le ramificazioni dei lahar che sono descritte nel testo, tutte situate nella metà sinistra dell’immagine, cioè nella zona meridionale della Valle del Bove. Un primo corso d’acqua termina al di sopra della Sciara della Capra, nei pressi della colata lavica proveniente dal Fuoco nuovo. Un altro ramo si dirige invece verso la Dagala del Cirrazzo. Ancora più a sinistra, un ulteriore lahar prende la direzione della Sciara di Calanna, con varie diramazioni secondarie.

Il disegno rafforza la descrizione dell’autore, che ben presto si rese conto dell’incredibile volume d’acqua che aveva percorso i fianchi dell’Etna scavando solchi e letti di notevole larghezza. Si trattava di quantitativi troppo imponenti per essere attribuiti alle piogge o allo scioglimento delle nevi. Secondo alcune misurazioni a campione effettuate dall’autore, dal cratere sarebbe uscito un fiume largo quasi 3 km e alto almeno 10 m (p. 57).

 

COLATE LAVICHE

Sebbene non siano l’oggetto principale dell’opera, la tavola non manca di segnalare le colate laviche, contraddistinte dal colore scuro, che contrasta con quello chiaro dei lahar e delle nevi che ricoprono la parte più elevata del vulcano. Oltre alla lava eruttata dal cono principale dell’Etna – che emette fumi e vapori – è visibile quella proveniente dalla nuova bocca apertasi il 10 marzo nei pressi della Sciara Pizzuta e qui indicata come Fuoco nuovo. Quest’ultima colata transita alle spalle della Rocca Musarra e del Monte Finocchio per poi scendere a valle.

 

ROCCE E DEPOSITI

Blocchi

Nel disegno sono osservabili dei massi rocciosi, che Recupero ritiene essere stati trasportati ad opera delle acque impetuose, che hanno trascinato anche notevoli quantità di tronchi, arene e detriti. Sono rappresentati, in particolare, i blocchi nella Dagala di Grannicola e quelli spinti dal lahar fin sopra la Sciara della Capra.

 

TEORIE E INTERPRETAZIONI

Il ruolo dell’acqua

L’immensa quantità d’acqua di cui Recupero osservò le tracce poneva il problema della sua origine. Scartate le ipotesi di un ruolo della pioggia o dello scioglimento delle nevi – giudicate insufficienti – le acque dovevano essere uscite dalle profondità del vulcano. L’autore vagliava quindi la possibilità della presenza di cavità sotterranee colme d’acqua piovana, oppure di un collegamento tra l’Etna e il mare, analogo a quello proposto per il Vesuvio da vari autori, tra cui Mascolo 1633. Scartate entrambe queste idee – insostenibili sulla base delle osservazioni – Recupero rinuncia a proporre una spiegazione sulle origini e si concentra sulle modalità di eruzione dei lahar. Immagina quindi la formazione di un vorticoso turbine di vapori – prodotto dal contatto tra l’acqua e la materia incandescente all’interno del vulcano – capace di sollevare una colonna d’acqua fino alla sommità del cono:

[pp. 72-73, 74] “Si potrebbe opinare con molta verisimiglianza, che l’acqua (la quale suppongo già introdotta nel Monte da qualunque luogo, ed in qualunque modo, che ormai si volesse) sendosi versata nella bassa conca del Monte sopra quella gran massa infocata, o vero sopra la materia fermentante, e preparata ch’ivi si ritrovava, parte di essa si sciolse dall’eccedentissimo calore in vapori, i quali aggitando fortemente l’aria nell’ampia cavità, produssero un impetuoso vento, che raggirandosi furiosamente in tutto quel sinuoso vano del Monte, ed aumentandosi via via per le continuate pressioni de’ successivi vapori, divenne un Turbine di tanta potenza, e valore, che co’ suoi moti spirali, e co’ suoi vortici rialzò tutto il restante di quelle copiosissime acque dalla bassa conca del Monte, d’onde a rispingerle furiosamente concorsero pure i fuochi, che riaccesi oltremodo accrebbero i scrosciosi tumulti, che faceva il gran vento nelle viscere di Mongibello […] Non solo ascesero l’acque per il vano del Monte in guisa d’un grosso Cilindro, ma […] in tal forma pure sboccarono, e scorsero sopra tutto il Monte”.

Nella Storia naturale e generale dell’Etna, pubblicata postuma nel 1815, Recupero tornò a parlare dei lahar e diede un severo giudizio sulla sua memoria del 1755:

[I, p. 180] “Scrivemmo una ben lunga dissertazione, benché poco matura, potendosi estimare come un frutto acerbo della mia gioventù, onde soglio chiamarla Delictum juventutis meae.

Propose quindi una nuova spiegazione delle colate d’acqua osservate sull’Etna, che questa volta erano attribuite all’apertura di una bocca sottomarina in comunicazione con il focolare dell’Etna:

[II, pp. 104-105] “Apertosi dunque il letto del Mare, fu naturale introdursi le sue acque per quella fenditura, e scaricarsi nelle cave interiori del Monte. Eravi allora negli abissi dell’Etna molta quantità di materia infocata; le gran colonne di arene roventi lanciate in aria, ed i tuoni spaventosissimi, che l’accompagnavano, ben lo dimostrano. Dovettero dunque le acque del Mare introdottesi in quelle fornaci scaricarsi sopra tale materia ardente: ed ecco la gran catastrofe. Non così pronte furono le acque a cadervi sopra, come il gran fuoco dovette subito scioglierne gran parte in vapore, e dilatarlo in eccesso, come in eccesso dilatò pur tutta l’aria, che coll’acqua vi s’introdusse: quelle due potentissime molle dovettero in tal punto giocare a corrispondenza della forza dilatante, e risospinsero ben tosto in alto tutta la gran massa d’acqua, avendola fatto sboccare dalle fauci più pronte dell’Etna”.

 

Focolaio profondo

Recupero cita le opinioni di Giovanni Alfonso Borelli, Gaspare Paragallo e Simone Porzio – contrari all’ipotesi di focolai profondi, dove l’aria necessaria alla combustione non potrebbe arrivare – ma evita di entrare nella controversia e di prendere una posizione netta sul tema (p. 72).

 

Fabio Forgione

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