Giuseppe RECUPERO, Storia naturale e generale dell’Etna, a cura di Agatino RECUPERO, Catania, Stamperia della Regia Università degli Studj, 1815, vol. 1 e vol. 2. Tav. III. Incisione su rame. Disegnatore: Luigi MAYER. Incisore: Antonio ZACCO.
La tavola III dell’opera di Recupero è dedicata all’interessante formazione geologica della Scala (o Timpa) di Aci, vale a dire il promontorio di origine vulcanica situato nei pressi di Acireale, alto oltre 100 m e caratterizzato da gradoni che scendono a strapiombo verso il Mar Jonio. Come attestato dallo stesso Recupero, l’immagine fa parte di quelle realizzate prima della sua morte e non di quelle aggiunte dal nipote Agatino, che curò la pubblicazione postuma dell’opera:
[I, p. XVIII] “[Nella tavola] si delinea con molta precisione la così detta Scala di Aci coll’Etna in fondo, opera del Sig. Mayer”.
[I, p. 111] “Mi presi la cura di far lavorare due disegni di quello Promontorio dal Sig. D. Luigi Majer celebre disegnatore Romano, al quale molto resto debitore per il generoso disinteresse con cui mi ha favorito”.
La tavola è infatti disegnata da Luigi Mayer (1755-1803) che, dopo la formazione romana, lavorò in Sicilia per Ignazio Paternò Castello – come fece anche Antonio Zacco, incisore di questa e di altre immagini dell’opera di Recupero. Mayer si spostò poi a Costantinopoli e produsse una serie di dipinti e disegni di architetture ottomane.
La veduta è presa “dalla Spiaggia di Aci Reale” e spazia su tutto il versante sud-orientale dell’Etna, con la Valle del Bove e l’indicazione della Montagnola (2), sede dell’eruzione del 1763 avvenuta poco prima della realizzazione della tavola. In primo piano è visibile l’abitato di Acireale (3) posto al di sopra della Scala (4) che digrada verso il mare. Sono chiaramente rappresentati i gradoni lavici, ma va segnalato che le dimensioni della formazione geologica appaiono scarsamente corrispondenti al vero e non rendono l’idea della sua reale altezza.
Per le altre tavole dell’opera, si vedano le relative schede: tav. I, II, V e VI; tav. VII. Anche Charles Lyell fece osservazioni sulle formazioni geologiche della Scala di Aci.
Bibliografia: Su Giuseppe Recupero: Candela 2016. Su Mayer: Llewellyn 1990. Su Zacco: Gallo 2000, pp. 86-87. Sulla geologia della Timpa di Acireale: Branca, Coltelli, Groppelli e Pasquarè 2009, pp. 45-52.
MUTAMENTI OROGRAFICI
Avanzamento della costa
Osservando la tavola si può comprendere come il promontorio di Acireale si sia formato con un progressivo avanzamento della costa, prodotto da colate laviche provenienti dal versante sud-orientale dell’Etna e arrivate fino al mare:
[I, p. 112] “Il divisato Promontorio si è formato successivamente e non tutto ad un tempo; e […] le lave, che lo compongono, sono provenienti dal fianco dell’Etna, che guarda Scirocco, e Levante, dove restano manifesti alcuni vulcani, le lave dei quali dovettero necessariamente scolare verso la spiaggia di Aci, in cui è fin’ora declivo il terreno”.
ROCCE E DEPOSITI
Stratigrafie
Paleosuoli
Lava solidificata
Recupero visitò ripetutamente il sito e lo osservò dalla terraferma e dal mare, riscontrando l’esistenza di vari strati di lava sovrapposti, inframmezzati da terreni antichi. L’intera formazione gli appariva quindi come il prodotto di successive eruzioni e delle relative correnti di lava, susseguitesi nel corso di tempi lunghi. La tav. III fatica a dare conto della natura e della scala dei luoghi, che – comparati alle figure umane inserite nell’immagine – appaiono meno scoscesi e meno elevati di quanto siano in realtà.
[I, pp. 108-110] “Tutta quella gran massa non è d’altro formata che di lave e banchi di terra fra di esse interposti. Per dir tutto colla necessaria chiarezza fummo obbligati a scender nel Mare, e di là salire poscia tutto il Promontorio. […] La base di detto Promontorio è un gran banco di lava basaltica […]. Sopra di questo banco risiede un letto di terra nera di Mongibello simile in ogni sua parte alle terre superficiali ed ordinarie di tutte le campagne etnee: è alto forse quattro piedi, e serve di base ad una sovrapposta lava di trenta piedi incirca. Vedesi appresso il secondo letto di terra nera di Mongibello alto quasi gli stessi quattro piedi. Sovrapposto a tal letto vi è il terzo strato di lava, ed a questo succede un altro letto di terra benché di due palmi incirca. Indi un nuovo strato di lava che viene coverto da un letto di terra biancastra argillacea, sopra della quale v’è un altro lastrone di lava ben’alta. Ricopre quest’ultimo un alto suolo di terra nericcia, in cui son piantati alcuni vigneti, che fanno un buon vino, e parte è desinato per pasture e seminati. […] Nel lato occidentale della Scala si riconosce meglio il tessuto del Promontorio […]. Vidi che tutta quell’alta guancia è formata di strati lapidei di lave diverse, fra i quali sono interposti banchi e Ietti diversi di terra; e che i detti strati, o lave sono tutte poste orizzontalmente, non per linea retta, ma ondeggianti, ora alzandosi, ed ora divallandosi un poco a portata del primo terreno superficiale, a cui dovette adattarsi la lava, che vi corse sopra; sapendosi già, che la lava discorrendo fluida e molle, prende tutte le piegature del sottoposto terreno, sul quale si stende, ed appoggia”.
La tav. III non appare realistica neppure nella rappresentazione degli strati, che – nella parte destra dell’immagine – sembrano quasi fuoriuscire a raggiera dal suolo, senza che si riesca ad apprezzare la sovrapposizione di colate successive. Nella tavola si riconoscono comunque sette strati di lava sovrapposti, vale a dire quelli identificati da Recupero, anche se non sono visibili i terreni interposti:
[I, p. 111] “Alcuni numerano gli strati di lava fino a nove, ma essi procedono con molta sottigliezza, dividendo due strati in quattro, perché si scopre fra di essi un letto di terra alto meno forse di due palmi. Io ho determinato esser sette gli strati di lave diverse scorse fino a questo luogo, disprezzando come troppo sottile quella divisione, che altri con buona ragione sostengono. […] È fuor di ogni esitazione, che da Dommasi fino a S. Tecla tutto il Promontorio sia un tessuto di lave e banchi di terra dell’Etna tramezzati fra loro, e che le lave secondo il mio conto più magro ascendono al numero di sette”.
TEORIE E INTERPRETAZIONI
Antichità della Terra
La sovrapposizione dei sette strati di lave solidificate, e il tempo necessario per la formazione dei paleosuoli tra di essi – pari ad almeno duemila anni per ciascuno – spinge Recupero a immaginare tempi molto lunghi, che superano la tradizionale cronologia biblica sull’origine della Terra:
[II, p. 8] “Or di quale antichità deesi credere il primo strato di lava che giacesi in fondo di cosiffatto promontorio? […] Attenendoci dunque ai computi più rigidi dei nostri Scrittori, si deve conchiudere, che il suol di terra che veggiamo nelle medesime, siasi formato nel corso di due mila e più anni […] ed in forza di quello calcolo siamo astretti a riconoscere nella prima lava che pose capo alla spiaggia di Aci, un’antichità oscurissima, le cui date, perdonsi nell’epoche antidiluviane”.
Queste posizioni furono riprese dal geologo Patrick Brydone (1736-1818), sostenitore dell’antichità della Terra. Lo scozzese conobbe personalmente Recupero durante le sue visite all’Etna nel 1770 e, nelle pagine di A tour through Sicily and Malta (1773), descrisse la Scala di Aci e riferì le conversazioni con lo studioso siciliano. Le sue datazioni portavano a immaginare per il primo strato di quella formazione un’età di 14.000 anni e provocarono una reazione delle autorità ecclesiastiche:
[I, pp. 131-132] “Recupero has made use of this as an argument to prove the great antiquity of the eruptions of his mountain. For if it requires two thousand years or upwards to form but a scanty foil on the surface of a lava, there must have been more than that space of time betwixt each of the eruptions which have formed these strata. But what shall we say of a pit they sunk near to Jaci, of a great depth? They pierced through seven distinct lavas one under the other, the surfaces of which were parallel, and most of them covered with a thick bed of rich earth. Now, says he, the eruption which formed the lowest of these lavas, if we may be allowed to reason from analogy, must have flowed from the mountain at least 14,000 years ago. Recupero tells me he is exceedingly embarrassed by these discoveries in writing the history of the mountain. […] The bishop, who is strenuously orthodox – for it is an excellent fee – has already warned him to be upon his guard, and not to pretend to be a better natural historian than Moses; nor to presume to urge any thing that may in the smallest degree be deemed contradictory to his sacred authority”.
Fabio Forgione
